Sfidiamo il Tempo

Ma Cosa Stai Cercando? – Appunti

Il progetto Sfidiamo il Tempo inizia nella primavera del 2012 con l’intento di sperimentare le potenzialità espressive della fotografia realizzata con il foro stenopeico, la stenoscopia. Le caratteristiche della fotografia stenopeica possono essere riassunte in: tempi di esposizione più lunghi rispetto alla fotografia tradizionale nelle medesime condizioni di luce; colori alterati dalla curvatura dei raggi luminosi attorno al foro; profondità di campo estesa dal foro all’infinito; bassa acutanza del foro; scarsa nitidezza dei contorni e dei particolari; basso contrasto; sfumature deboli; assenza di dettaglio nelle zone delle ombre.

Il foro pone una condizione di contatto aptico tra il sensore fotosensibile, la tradizionale pellicola a sali d’argento, e il soggetto, poiché tra di esse non vi sono filtri o barriere di alcun genere. Perciò la fotografia si forma a contatto con il soggetto, assorbendone, idealmente, le molecole di cui è composto.

Il risultato è un’immagine unica, dove il foro permette di modellare il tempo dell’esposizione in modo da disfare la luce e l’immagine stessa. La stenoscopia è la visione incerta di uno sguardo lento.

Sfidiamo il Tempo, Luna rossa e Marte, 27-7-2018
Sfidiamo il Tempo, Luna rossa e Marte, 27-7-2018. Evoluzione progressiva dell’eclissi lunare nella fase di uscita della Luna dall’ombra della Terra e il suo conseguente aumento di luminosità. Sotto è visibile il pianeta Marte

Il progetto è iniziato con delle strisce luminose tracciate con delle torce elettriche secondo percorsi definiti e passaggi multipli per tutto il tempo dell’esposizione. Queste luci segano in un primo nucleo le vie di accesso a una piccola area verde sulle sponde del lago di Garlate, costeggiato da una strada trafficata, in un secondo nucleo i resti dello scavo archeologico dei piani di Barra a Galbiate. Durante una di queste riprese la luna entrò casualmente nell’inquadratura, lasciando la traccia del suo passaggio. Questo episodio sposta le fotografie verso la ripresa delle tracce del sole e della luna durante il tempo di una giornata.

Gli ultimi sviluppi di questo progetto, realizzati negli ultimi mesi tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, sono volti a cercare la smaterializzazione della luce e alla dissoluzione dell’immagine in relazione all’ambiente naturale antropizzato caratterizzato dalla presenza dell’acqua e del vento.

Daniele Re 14-01-18

2016_Pin Hole_Sfidiamo il Tempo

La tecnica del foro stenopeico è la più antica per prendere immagini dalla realtà. Oggi rinasce come parallela e complementare alla velocità e alla portabilità dell’immagine digitale.

La slow photography attraverso il piccolo foro permette di imprimere oltre alla luce anche alcune molecole del soggetto, le vibrazioni dell’aria, l’umidità e l’odore, rendendo così unico e irripetibile il cliché: la visione si concretizza attraverso l’azione della presenza umana.

Le imprecisione dei contorni e dei dettagli, le imperfezioni della polvere, ma comunque tutto sempre a fuoco in una luce e in un tempo lontani dalla visione umana, se non solo immaginabili.

Daniele Re 28-01-13

Il foro stenopeico, per le sue proprietà geometriche e fisiche, crea un’immagine in cui le direzionalità alto-basso e destra-sinistra risultano invertite rispetto a ciò che vede il nostro cervello, ma affine a ciò che percepisce il nostro occhio. Pertanto quello che si vede nel positivo non è reale, non può esserlo: è la sua immagine, attraverso la quale noi, come membri della società di massa, facciamo la conoscenza del mondo e dei nostri simili e così li rappresentiamo.

Daniele Re 05-01-13

2014_Pin Hole_Sfidiamo il Tempo
Arco inscritto nel cielo dal sole al solstizio d’inverno, visto dal Monte Barro (Galbiate)

Non bisogna guardare l’orologio, altrimenti è finita, il tempo non passa più.

“Ma cosa stai cercando?”

Mi chiese un anziano una notte mentre passeggiavo lentamente lungo la riva del fiume Adda con in mano due torce elettriche.

Effettivamente! Una domanda più che lecita!

Me lo sono chiesto anch’io che cosa stessi cercando.

Cercavo di capire cosa fosse il tempo osservando i dettagli di quei luoghi dove l’azione dell’essere umano e quella della natura s’incontrano e si scontrano, come se non fossero mai stati uniti dal vincolo della sopravvivenza.

In effetti: quanto tempo ci vuole per costruire un muro e delle scale per salirvi? Quanto tempo impiega l’erba a crescere dalla terra smossa per la costruzione di quel muro? Quanto tempo impiega il muschio per ricoprire quel muro e quelle scale? Quanto tempo ci si impiega a non utilizzare più?

Sono in riva al lago e, osservando la corrente dell’acqua, mi chiedo: quanto è vecchia l’acqua?

Pensandoci, il tempo arriva dal sole: con il suo sorgere e tramontare esso ci ha dato l’unità fondamentale del giorno.

Ieri, oggi, domani.

Quando si cerca qualche cosa sembra che si stia sprecando il proprio tempo nel momento in cui la ricerca infruttuosa cessa anche solo per un secondo!

Il tempo non può che essere una percezione sensoriale ed intellettuale del mondo e della sua essenza: il mutamento di qualcosa e la sensazione di esso.

Louis Bergson diceva: “il tempo è invenzione o non è niente”.

Ha ragione, lo scorrere del tempo deve portare alla creazione di qualcosa, vale a dire impegnare le nostre capacità per ottenere dei risultati (meglio se positivi e redditizi) e quindi indirizzare la nostra vita e darle un senso. È lo slancio vitale che crea forme e situazioni nuove, sempre nuove e imprevedibili.

La teoria della relatività di Albert Einstein dice che il tempo e lo spazio non sono unità assolute, tra loro separate, distinte e indipendenti; il tempo così diviene infinite cose diverse tra loro, ma con in comune il fatto di iniziare, svolgersi e concludersi, o di girare su se stesse.

Il tempo può essere relativo? O almeno la sua percezione?

Questo dipende dal funzionamento del cervello e dall’attenzione?

Con la relatività possiamo avere l’intero svolgimento di un azione posto su di un unico piano spazio-temporale?

Picasso c’è riuscito: con il cubismo e le maschere africane ha sintetizzato il tempo di un azione che si svolge su più piani in un unico piano,quello della tela, che per sua natura comunica tutto il suo contenuto nel medesimo istante, l’infinito istante dell’immagine, in cui viene osservato.

Se la relatività è valida per la raffigurazione pittorica può essere valida anche all’interno di una piazza e trasportata nel piano del pensiero?

Il pensiero sulla possibilità di descrivere la differenza della percezione del tempo, dello spazio e dello sviluppo dei pensieri di persone diverse all’interno di una piazza è a dir poco folle! È ovvio che ognuno ha la sua percezione di tempo, spazio e sviluppo dei pensieri, siamo esseri umani, ci siamo evoluti sviluppando diverse sensibilità e caratteri che concentrano la nostra attenzione su cose diverse.

Nel medesimo istante tutti pensano a cose diverse, dicono, fanno, vedono e prestano attenzione a cose diverse anche se presenti nello stesso luogo; questo accade proprio perché siamo esseri umani, coscienti e cognitivi. Non credo ci sia un altro modo di spiegare questo fenomeno se non con questo fatto, descriverlo con altre parole mi è impossibile, l’unico modo che ho per capirlo è osservarlo.

Con tutto questo mio discorso non ho dato una risposta alla domanda “Che cos’è il tempo?” e neanche a quella iniziale “Che cosa stai cercando?”.

Basta!

Il tempo nella visione di Bergson esiste come durata percepibile a livello di intuizione, non più come singoli momenti posti in successione e misurabili con strumenti razionali. Il tempo può essere inteso come una successione di stati psichici: la nostra mente pone in relazione costante ogni istante con quello successivo producendo in noi la percezione di un movimento continuo, come diceva Bergson, di una durata complessiva.

Se il tempo è durata quanto tempo bisogna insistere su di un punto per conoscerlo a fondo?

Di quanto tempo necessitiamo per trovare o capire qualcosa?

Ugo Mulas: il tempo fotografico, le Verifiche:

“Volevo rendere il senso della ossessione della musica che di continuo ritorna, e insieme il senso del tempo musicale, che è antitesi al tempo fotografico. Foto dopo foto, mentre l’immagine resta immobile, perché sono sempre rimasto nello stesso punto e i movimenti del pianista così piccoli in un grande spazio non sono percepibili.

[…]

Nella stampa a contatto i numeri incisi sul bordo del film corrono via lungo l’immagine immobile l’uno dopo l’altro: se non ci fossero si potrebbe pensare a trentasei foto ripetute. L’unica cosa che muta, che scorre sono i numeri: non una sequenza di comodo, ma una realtà di linguaggio. Il tempo acquista una dimensione astratta, non scorre naturalmente[…]: sullo stesso foglio, nello stesso istante coesistono tempi diversi, al di fuori di ogni constatazione reale. […]L’immobilità più efficace di qualsiasi movimento effettivo, è l’ossessione della immagine ripetuta a far emergere la dimensione del tempo fotografico”.

Il tempo in musica è la successione di battiti (momenti singoli e a sé stanti) inseriti e ordinati in uno schema ritmico (che deriva dal linguaggio). Il tempo è un singolo elemento che all’interno dello schema ritmico e insieme agli altri battiti (tempi) concorre a generare un significato, cioè a comunicare. Il tempo è un istante che si perde nel fluire del ritmo musicale.

In fotografia accade il contrario: il tempo è l’istante in cui ciò che io vedo è stato, è questo e solo questo, un solo istante, quello significativo, non ve ne sono altri: esso comunica se stesso continuamente: l’infinito istante fotografico.

Esso non si perderà mai nel suo fluire perenne e immutabile, ciò che si perde in fotografia sono i singoli elementi rappresentati nella scena, ma ciò non dipende direttamente dalla lettura del tempo.

Daniele Re 15-11-12

Il tempo determina l’identità della foto, poiché estrae un particolare dal continuum del tempo, il quale non si potrà mai ripresentare uguale a se stesso. In gioco ci sono troppi fattori sia esterni che interni al fotografo ed all’osservatore.

In altre parole il tempo può anche essere il caso fortuito!

La fotografia è un mezzo potente anche per la sua capacità di fermare il tempo, la cui forza sta nella continua affermazione del medesimo istante: l’infinito istante fotografico.

L’ossessione dell’osservazione rende chiara la natura del tempo fotografico come infinito istante, tempo significante e sempre in comunicazione, capace di condurre il lettore dove l’autore desidera farlo arrivare, o nel peggiore dei casi nell’intimo del desiderio dell’autore stesso.

Cos’è più importante nella rappresentazione fotografica? Il fatto che qualcosa avvenga? La forma in cui avviene? O il tempo in cui si svolge?

Il fatto che qualcosa accade è importante per l’avvenimento in sé, per i suoi protagonisti e per noi che lo osserviamo in quanto esiste e accade. La forma concerne l’apparenza dell’evento che noi vediamo; essa comprende il luogo fisico dove si svolge l’azione, i soggetti che prendono parte all’evento e i gesti che vengono compiuti. In sostanza ciò che il senso della vista percepisce.

Daniele Re 20-10-12

 

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