Lecco’s Diary part I

In the dawn light, in the morning light, in the noon light, in the afternoon light, in the evening light, in the night light, in the moon light. In which kind of light are you standing? And I?

Questa è una raccolta di istantanee prese passeggiando giorno per giorno nella città di Lecco.

Sono molte le cose che accadono in un singolo punto della città, per quanto essa possa essere piccola e sconosciuta. Gli avvenimenti si susseguono istante per istante ed ognuno lasciando il passo al successivo porta via il suo mondo.

Le storie si possono trovare ovunque: si possono inventare, copiare o insegnare, ma il modo migliore per trovarle è cercarle in un percorso di avvicinamento dell’io interiore e sognante al mondo esterno, vivo e vitale (anche se a volte appare morto) e viceversa.

In questo modo ciò che si apprende dalla ricerca non lo si potrà mai scordare e influenzerà il proseguo della ricerca.

Lecco è una piccola città sulla sponda orientale del Lario, il lago a forma di λ che il fiume Adda forma tra Colico, Como e Lecco appunto.

Ho sentito dire da alcuni che Lecco è una città morta, che non ha più nulla da offrire ai suoi abitanti.

Questo ad oggi (25-10-2012) non lo posso smentire; quando cammino per le vie del centro penso che i parapetti e le ringhiere dei balconi siano più vivi e interessanti dei tavolini dei bar e delle panchine delle piazze; sono veramente poche le situazioni che mi fanno pensare il contrario. Ora forse qualcosa sta cambiando: è stato da poco aperto il museo di arte contemporanea e spero che porti un po’ di movimento tra i portici del centro città.

C’è da dire che Lecco è un centro commerciale e che la mentalità imprenditoriale, che è andata sempre più affermandosi in questi ultimi anni, considera “vita” gli spostamenti di persone che per le vie si lasciano accalappiare o vengono accalappiate dalle immagini esposte nelle vetrine dei negozi, entrano e comprano. Oltre ad abbigliamento e tabaccherie c’è ben poco.

Ho l’impressione che alcuni vogliano di più da questa città, ma taluni di questi alcuni non sanno bene cosa fare, forse vorrebbero più mondanità oltre ai bar “storici” di Piazza XX Settembre, Cermenati, Garibaldi, Manzoni e sul Lungo Lago Isonzo.

Un bel fervore economico, una vitalità effimera che si perde nei vapori dell’alcool e nei fumi di sigarette; questo fenomeno sarebbe interessante da osservare se solo non fosse popolato da risa unte e sudate.

Tal altri vorrebbero rivedere dai loro balconi quel brio intellettuale veramente vitale che durante i periodi più luminosi della storia ha contribuito ai grandi cambiamenti sociali e culturali, senza accorgersi che la società di oggi non è più quella della Belle Epoque e che tra gli angoli delle antiche mura qualche cosa di tanto in tanto accade o esiste da tempo, il più delle volte non vista.

Ma non è questo il punto, non solo, questo è parte di quello che c’è; il fatto è che a discapito di tutto questo qualcosa di vivo e vero c’è ancora.

Non siamo solo involucri vuoti, nella maggior parte dei casi e nella migliore delle ipotesi siamo unicum.

Ma che cos’è che si salva?

La linea curva di veri corpi e dei veri volti di individui capaci di provare ancora quelle vere emozioni, intense e vitali, che fanno sentire la vita scorrere nella carne e illuminare gli occhi.

Quelle stesse emozioni che mi prendono lo stomaco quando aspettando il treno osservo la gente sul marciapiede della stazione che come me sta aspettando.

In fondo siamo come le foglie degli alberi, al sole ci illuminiamo e rendiamo chiara la nostra funzione, sia singoli sia insieme.

Perché mi permetto di pensare, scrivere e fotografare queste cose? Perché sono un fotografo: curioso per natura e alla costante ricerca di quella frase affermativa che sia solo mia, capace di concretizzarsi in mito visuale del tutto personale.

Daniele Re 13-11-12

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