Ogni azione è una dichiarazione

Nel campo della comunicazione, nel senso più ampio del termine, si può dire che ogni nostra azione sia una dichiarazione!

Il termine comunicazione deriva dal verbo comunicare che nel suo significato originale (latino) vuol dire “mettere in comune” ossia condividere con gli altri pensieri, opinioni, esperienze, sensazioni e sentimenti. La comunicazione non è semplicemente parlare ma presuppone necessariamente una relazione e quindi uno scambio.

Dichiarazione di che cosa? D’intenti! È il mostrare agli altri quello che noi abbiamo visto, provato, pensato, quello che noi sappiamo e che vogliamo che gli altri sappiano.

Ma come si fa a capire, a interpretare una dichiarazione d’altri? Basta farsi delle domande, né troppe, né troppo poche, ci si deve fermare quando si arriva ad una risposta esauriente; queste domande devono essere ovviamente inerenti a quello che si ha davanti agli occhi. Si può banalmente partire dalle cinque domande giornalistiche (chi, cosa, quando, dove e perché); le domande non devono essere complicate, sono le risposte ad esserlo, non si deve riflette sul senso profondo dell’oggetto della comunicazione se prima non si è trovato “il perché a quel punto”, si possono trovare risposte esaustive anche a partire dalle proprie conoscenze personali (diverse forme di espressione, materiali, tecniche, psicologia, ecc.) e dalla premessa alla comunicazione, che può essere sia testo o slogan scritto o recitato, sia la semplice comunicazione verbale Vis-à-vis.

Nel caso delle immagini, io qui parlo da fotografo quale sono, con un occhio interessato alla gente, si parte dal soggetto e dalla composizione: chi è, cosa fa, dove si trova e dove è collocato all’interno dello spazio della rappresentazione; la risposta a queste domande porta, nella maggior parte dei casi, a trovare uno dei perché dell’immagine; ovviamente la conoscenza del contesto nella quale è inserita deve essere nota, altrimenti si va incontro a notevoli difficoltà di comprensione.

Cosa assai importante: la lettura delle immagini, come quella di qualsiasi altra forma di espressione e comunicazione, è ineluttabilmente soggettiva, si è sempre influenzati dal proprio gusto e dalle proprie sensazioni nel giudicare e comprendere un’immagine. È proprio qui che sta il nodo fondamentale della lettura; nella giustificazione delle proprie sensazioni, ma non deve essere un pensiero banale: mi piace, bene; non mi piace, male! Occorre trovare una risposta al “perché mi attira”, “perché mi interessa”, come dice Roland Barthes, autore de La camera chiara e Miti di oggi e affermato studioso di semiologia del XX° secolo, “la tale foto mi avviene, la tal’altra no” […] “io tendo sempre a motivare le mie sensazioni”.

L’analisi della comunicazione richiede tempo, la necessità di porsi domande e trovare risposte.

Manca ancora un perché per rendere completa la nostra lettura, ma è un perché non fondamentale alla comprensione e che potrebbe far vacillare la nostra interpretazione dandocene una più “veritiera” in quanto è l’interpretazione data da chi l’ha scattata o “creata” nel senso generale del termine. È noto che, oltre al perché, al sentimento momentaneo e istintivo, in un modo o nell’altro il caso rientra nel quadro dell’immagine.

C’è ancora un punto da prendere in considerazione in questa breve analisi sul come affrontare l’interpretazione della comunicazione, cioè l’etica e la morale: il codice deontologico della professione giornalistica pone le basi per un lavoro che nel pieno rispetto di tutti i soggetti che vengono interessati da questo. Il ché non è cosa di poco conto: io stesso mi sono trovato nella situazione di dover scegliere se scattare o meno una fotografia (non era una scena di guerra anche se così pare dalla premessa): quando ero a Bologna con amici, tra il 23-7-12 e il 29-7-12 e rientravamo in albergo dopo una cena e un giro in centro, ho visto all’angolo di via ? con via ? un uomo, di cui non sono riuscito a identificare la nazionalità (poteva essere italiano come est europeo o magrebino), sdraiato scomodamente sul basso muretto di un portico, addormentato e ronfante, lascito completamente solo, con vicino, buttati un po’ come capita i resti di una cena frugale e almeno due bottiglie di alcolici e una di birra; il tutto era immerso in un odore, non molto forte ma comunque fastidioso, di urina, birra e spazzatura. Poco prima di passargli accanto ho impugnato la macchina fotografica per riprenderlo (per dichiarare di averlo visto e che versava in quelle condizioni) ma ho subito pensato “io fotograferei quest’uomo non come un mio pari ma come una persona a me inferiore, guardandolo dall’alto dei miei vestiti puliti, della mia pancia piena di cose buone e della mia intelligenza e sensibilità di fotografo con la macchina in mano”; cosi facendo lo avrei reso ancora più basso e brutto di quello che era, perché io lo giudicavo così: un puzzone!

Ecco, bisogna sforzarsi di cercare e capire, se non è esplicitamente espressa, l’intenzione di chi ha generato l’oggetto della comunicazione a partire dall’oggetto che si trova davanti ai nostri occhi.

Daniele Re 10-08-12

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