L’album di fotografie

Qui presento il mio album di foto ricordo, iniziato dai miei genitori con i primi ritratti insieme. Queste fotografie sono dettate dal desiderio di ricordare con affetto. Ma perché scrivere parlando in prima persona? Scrivendo del mio album di fotografie la prima persona è d’obbligo! Ognuno può e deve scrivere del proprio album, delle proprie fotografie e di se stesso avendo la forza di guardarsi riflesso nei propri occhi come nello specchio.

Questo è il mio album, ce l’ho da quando ero piccolo, forse da prima di nascere. L’ho hanno iniziato i miei genitori con i vari certificati medici, i ricordi del battesimo e le foto scattate da loro… qui, all’inizio io sono visto da loro. Le prime pagine di ogni album testimoniano lo sguardo dei genitori sul figlio e sulla famiglia in crescita.  Perciò l’album funziona come un’interiorità oggettiva in cui si concretizza e manifesta l’opera e la passione tassonomica operata sulla propria vita. Diventa così un catalogo del proprio mondo in cui ci si appropria della propria immagine e dei luoghi in cui si è stati.

La copertina è la prima soglia che incontro. Sulla mia ci sono dei simpatici mostriciattoli, degli animali che si comportano come degli esseri umani. A una scenetta sono particolarmente legato: per me è la mamma che porta il figlio all’ospedale. Mi fermo qua, il resto è mio.

 

“senza la scelta io la vita l’abbandono perché la scelta in fondo è l’unica cosa che rende questa vita almeno dignitosa e quindi scelgo di saltar dal cornicione come un aereo, una falena o un pipistrello che vola alto io invece mi sfracello”

Queste parole fanno parte della canzone “Il testamento” di Andrea Appino. Un testo, come molti sui e degli Zen Circus, che parla del disagio provato per, o suscitato da una vita a cui si sente di non appartenere, ma che inevitabilmente fa parte dell’individuo. La vita, come tutte le cose che ci appartengono, vive necessariamente dentro di noi e si nutre di noi, crescendo e logorandoci. Forma la nostra identità pezzetto per pezzetto, a seconda dei casi aggiungendo o togliendo. per questo alcuni eventi, anche minuti, non si possono cancellare, sono scritti dentro di noi e determinato la sostanza materiale di cui siamo fatti: chi più chi meno sensibile, chi più chi meno fortunato, chi più chi meno costruito nella felicità o nel dolore, e molto altro.

Ma cosa centra questo con le mie fotografie? Bene, le fotografie sono dei condensatori di memoria e degli attivatori della sostanza identitaria, i ricordi, anche nascosti, che si portano fisicamente con sé.

Oggi esistono nuove forme di album di fotografia, principalmente Facebook e Instagram. Facebook sta per “faccia-libro” o “libro della faccia” in cui ognuno è presente con la propria faccia, non necessariamente in forma tautologica, ma anche metaforica, metonimica, sineddotica o allegorica e, sopratutto in maniera istantanea. La personalizzazione dei profili social presuppone una costruzione del sé, una narrazione finalizzata a definire la propria identità in senso pubblico. Proprio questa pubblicità è determinante nella scelta della retorica visiva con cui ci si presenta: il senso è la condivisione finalizzata alla maggiore visibilità possibile, anche se si può “mettere il profilo privato”, visibile solo dagli “amici” o “followers”.

Nell’album io sono presente anche se non in modo completo, totale. Qui non si esauriscono i momenti felici o importanti, o si contano tutti i miei interessi o i miei pensieri. Io non sono l’album, ma io sono nell’album. In questo piccolo condensato di immagini e didascalie io mi ritrovo, quasi tutto, nei racconti dei ricordi. Qui non mi perdo. L’album è una mappa diacronica della mia memoria, certo incompleta, ma efficace, interamente sovrapponibile a me stesso.

 

Daniele Re 14-12-19

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